Il vino amato da Plinio il Vecchio
La storia del piedirosso, detto anche per ‘e palummo per via del graspo a zampetta di piccione (palummo), è davvero singolare: nel giro di pochi anni è passato dall’essere il simbolo di vino da dimenticare, acetoso al naso e tenuto in piedi solo dall’acidità, a nuovo modello di rosso da inseguire e c’è perfino chi lo paragona al pinot nero.
I primi coloni greci compresero le enormi potenzialità dei terreni attorno al Vesuvio, resi fertili dalle perfette condizioni climatiche e dalla composizione prettamente vulcanica del suolo. Da allora la coltivazione della vite è stata punto fermo e trainante dell’economia campana, sopravvivendo e portando ricchezza nei secoli a tutti i popoli che vi hanno abitato. Gli imperatori e gli alti ranghi romani avevano una predilezione per i vini campani, come attestano diversi autori e numerosi ritrovamenti archeologici. C’è un volume, vecchio di duemila anni, che più di altri ci aiuta a fare luce sulla storia dell’Italia, dei suoi territori e dell’oro liquido che l’ha portata ai vertici del mondo: è il Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, storico romano vissuto nel primo secolo dell’Era imperiale e morto durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. A lui si deve una efficace descrizione dell’uva Palombina Nera e della simile Colombina, che oggi vengono considerate come antenate, o addirittura la stessa, del Piedirosso. Omologa citazione della Palombina risale poi a degli scritti del Cinquecento di Herrera – Sederini, secondo il Carlucci. L’uso del Piedirosso si consolida comunque tra Ottocento e Novecento, grazie alla sua ottima resistenza alle malattie delle viti, che riesce a sopperire alla crisi produttiva di fine XIX secolo.
ll suo territorio di elezione, benchè diffuso in tutta la Campania, è la provincia di Napoli dove risulta il vitigno più piantato e dove raggiunge le massime espressioni qualitative . Resta infatti insostituibile nelle Doc Campi Flegrei, Ischia (Rosso e Per’ e Palummo), Capri, Lacryma Christi del Vesuvio e Penisola Sorrentina Rosso. Lo possiamo chiamare “vino vulcanico” perché lo si produce alle pendici del Vesuvio e dei Campi Flegrei, quei territori dalla storia geologica ed eruttiva particolarmente forte e dinamica. Grandi nutrimenti, quelli dei terreni vulcanici, che si espandono in una delle regioni più scenografiche d’Italia, restituendo un vino eccellente, proprio come i territori dai quali nascono le sue uve; in queste zone matura abbastanza presto, tra la fine di settembre e la metà di ottobre. La produzione dei vini da bacca Piedirosso richiede, spesso, l’impiego in purezza di questo vino, come accade per il Piedirosso Pompeiano IGT, che lo impiega al 100% del suo valore. Nel Campi Flegrei si impiega tra il 90% e il 100%, percentuali che scendono al 40-60% nel Costa d’Amalfi Rosso, dove si impiegano anche Aglianico e Schioppettino. Il Piedirosso è complicato in vigna come in cantina, si è sempre al limite tra l’odore cattivo e le sensazioni olfattive accattivanti di geranio e frutta rossa. Richiede attenzione e molta competenza. E’ un vino che si presta molto bene all’invecchiamento ma non disdegna note piacevoli fresche e profumate di ciliegia nei vini giovani, anche rosati: vini ricchi di corpo e di tannini, dalla caratteristica nota floreale di violetta e di erbe aromatiche. Generalmente fornisce vini con un bel colore rubino. La gamma olfattiva varia dai frutti rossi come prugne e ciliege dei vini giovani fino alle sfumature terziarie degli invecchiati, con note di caffè, tabacco e speziature.
ABBINAMENTO CIBO-VINO
Il Piedirosso si presta a momenti importanti: è un rosso che chiede e dà attenzioni, ottimo in un abbinamento cibo-vino di rilievo. Il Piedirosso Pompeiano, ad esempio, presta il fianco ad essere servito insieme al filetto alla Wellington, un nobile pezzo di carne avvolto in crema di funghi e protetto da uno scrigno di pasta sfoglia. Dà il meglio di sé con le carni, preferibilmente rosse: una Fiorentina, una braciata con gli amici o anche una bistecca impreziosita da qualche fiocco di sale Maldon, rigorosamente cotta al sangue. Ottimo in ogni caso anche con la selvaggina, con carni di maiale e con dei formaggi ampiamente stagionati, magari un provolone del Monaco. Il Piedirosso è un degno rappresentante in rosso anche a tavola, superbo accompagnamento della cucina campana di terra, quella più vera e antica, come carne di maiale, salsicce alla brace o al sugo, salumi e formaggi stagionati, piuttosto che arrosti e rollè di vitello.
CANTINE ANTONIO MAZZELLA, Ischia (NA)
Unendo slancio tecnico e valori tradizionali Nicola Mazzella, aiutato dalla sorella Vera, ha effettuato in cantina una profonda rivoluzione generazionale. Nel versante sud dell’isola è doveroso parlare di viticoltura eroica: piccoli lembi di terra, strettissimi terrazzamenti, pendenze da capogiro, nessun muretto a secco, con l’inerbimento a contenere il dilavamento. E’ qui che nasce Il Terrazze di Levante, prodotto con Piedirosso e piccola aggiunta di Aglianico. Il suo nome lo si deve all’esposizione verso levante dove i primi raggi del sole mattutino maturano i generosi grappoli. Ben calibrato e armonico induce ad una beva piacevole e incalzante.