I love Falernum
Il vino Falernum ha origini storiche antichissime. Fu lo storico romano Tito Livio, alla fine dell’età repubblicana, tra i primi a parlarne e a delimitarne il territorio – avente forma triangolare –con base sul corso del fiume Savone e vertice la cima del Monte Massico. Furono i Romani che, avvalendosi di alcune tribù , genericamente denominate “tribù Falerine”, ripresero le tradizioni vitivinicole Magno- Greche, Etrusche ed Autoctone Campane, sviluppando un rinomato distretto vinicolo. Furono create Tre tipologie di vino Falerno : CAUCINUM , vino proveniente da vigne in alta collina, FAUSTIANUM , vino proveniente dalle migliori colline sia per esposizione , pendenza dei terreni che per varietà dei suoli, e FALERNUM , vino generico proveniente da terreni pianeggianti.
Per anni il ” Faustianum vinum “,restò la tipologia più pregiata , ricercata e costosa.. ma fu un vero e proprio boom il Falernum, grazie proprio ai Romani che scelsero la Ager Falernus come zona per la villeggiatura modaiola del tempo: fonti storiche ritracciano l’esistenza di possedimenti territoriali dei VIP dell’epoca: politici, personaggi pubblici, scrittori tra cui Orazio e Cicerone, così come oggi personaggi famosi come stilisti, cantanti, registi e attori acquistano casolari o antiche dimore con vigna in zone a indiscussa vocazione vitivinicola (e.g. Sting in Toscana, Gerard Depardieu in Sicilia, Antonio Banderas in Ribera del Duero in Spagna).. I ritrovamenti di anfore nelle prossimità di vari porti del Mediterraneo, in Italia, Egitto, Francia è un indice dell’importanza del ruolo del vinum Falernum nell’economia marittima del Mondo Antico. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e in epoca Medioevale, il Falernum perde l’antico prestigio.In questo lungo periodo vari autori , storici , letterati latini hanno parlato del Falerno. Macrobio nei Saturnali ammise che si conservava fino a quarant’anni e che si usava nelle cene di lusso. Petronio nel Satyricon ci ha tramandato che si conserva fino a 100 anni per cui Marziale lo chiamò “immortale” e Plinio addirittura diceva che i medici ne proibivano l’abuso. Orazio, Cicerone e Faustiano lo producevano e ne facevano sfoggio durante le loro cene. Virgilio lo descrive come miglior vino al mondo. Ritroviamo parziale ritorno alla notorietà in pieno Rinascimento (XVI secolo), quando sotto il nome di Fistignano “Fastignano” fu elogiato da Papa Paolo III Farnese.
E’ proprio il prestigio del Fastignano a dar origine al Campantuono dell’Azienda Gennaro Papa. L’Azienda Agricola Gennaro Papa è attualmente condotta da Gennaro e Antonio Papa, si avvale della collaborazione esterna dell’enologo umbro Maurilio Chioccia. La Vigna, ormai di trent’anni, è sita in località Campantuono in zona collinare: nasce dai vigneti storici dunque e rappresenta un’attenta selezione solo di quei vigneti e di una vigna che rappresenta il cru aziendale. E’ un vino autorevole, l’alcol svetta verso i 17 gradi, ma è la sua anima a definirlo, perché è il Falerno che segue di più la tradizione. Il vigneto è collocato nella parte più alta della tenuta di Falciano chiamata appunto “Campo di Antonio”, è completamente piantato a guyot , con una resa in uva che difficilmente supera il chilo per pianta. E’ un vino decisamente importante, delinea di se stesso un profilo altisonante già al primo approccio: il colore è nero, profondo, lasciandolo attraversare dalla poca luce che ne pervade la profondità si riesce ad intuire appena qualche sensazione viola inchiostro. E’ compatto e consistente. Il primo naso è un effluvio di sentori floreali e fruttati maturi che inseguono e sono seguiti costantemente da note eteree, dolci sensazioni speziate e note balsamiche sottili ed eleganti. E’ dapprima succoso di mora e di visciola, profuso di cannella, tracce iodate e sul finale, dolcissimo, si offre con sentori di cioccolato e liquerizia. In bocca è secco, potente, il frutto è quasi masticabile, acidità, tannino e glicerina sono ben legati, fusi ad unisono regalando una beva decisa ma sostenibile, almeno sino al terzo bicchiere. Solo sul finale di bocca la nota alcolica ritorna dirompente, non senza frutto, non senza, quindi, quella fondamentale corrispondenza gusto-olfattiva, leggi piacevolezza, che a vini come questi non deve mai mancare per non risultare stucchevole e stancante. Il risultato è un originalissimo equilibrio, tra meditazione esistenziale e definizione del paesaggio, una meditazione appassionata, magniloquente, che come movimento incessante e ripetuto del mare, poggia sulla costa aspra e rocciosa i segni di una vita, la vite appunto!Il “sangue di drago”
La storia che vi raccontiamo è quella di uno dei più noti vitigni autoctoni prodotti in Trentino Alto Adige, terra di grandi vini: il Teroldego Rotaliano detto anche “Sangue di Drago”, un vino che per il suo soprannome profuma di leggenda, meglio e più di una fiction: un vino con una storia degna di Game of Thrones, che per vostra fortuna potete però oggi gustare anche senza ripercorrere per forza le gesta di un temerario personaggio dei Sette Regni. Quella di questo vino è una vera e propria leggenda che si potrebbe raccontare come una “favola della buonanotte”. Secondo il mito, infatti, la sua nascita si lega all’uccisione di un drago “Il Basilisco” per mano del cavaliere Firmian nelle grotte dell’eremo di Castel San Gottardo che sovrasta il Comune di Mezzocorona. Stando alla storia fu lui, con un abile stratagemma, a liberare dalla paura gli abitanti.
Il conte Firmian affrontò il drago con uno specchio e un secchio di latte: il drago si accorse subito del secchio di latte e iniziò a berlo con gusto, poi alzò la testa e fu allora che vide… un altro drago! Identico a se stesso, in tutto e per tutto. Iniziò a fischiare, a muoversi, scuotersi, girare. Il suo doppio riflesso eseguiva esattamente tutte le mosse che lui proponeva. Il conte approfittò quindi del momento di distrazione della bestia, balzò fuori dal suo nascondiglio e, con tutta la forza che aveva in corpo, conficcò la sua spada nel ventre, il solo punto vulnerabile del mostro. Trafisse il drago con una lancia uccidendolo. Lo portò quindi in trofeo nella città e, trascinandolo, il sangue del mostro che tanto aveva terrorizzato il luogo, lasciò una scia da cui nacquero la vite e quindi i grappoli di un vino che ne ha conservato la potenza. Un’origine meno mitologica vede il suo nome deriviato da Tirol de Gold, Tiroler Gold ovvero l’oro del Tirolo, vino reso celebre dall’imperatore Francesco d’Austria, che tanto apprezzava questo prodotto anche se già dal medioevo si parla di uva Teroldola. Leggenda a parte, la storia invece afferma che già nel 1300, all’epoca del Concilio di Trento, ai cardinali riuniti fosse servito questo vino rosso rubino, corposo e morbido al tempo stesso; ritroviamo poi il Teroldego come fedele compagno di Francesco Giuseppe, che non se lo faceva mai mancare anche nei suoi lunghi spostamenti da un angolo all’altro dell’impero asburgico. Lo stretto legame con la storia si traduce, dicono gli estimatori, anche nella sua longevità, riuscendo a esprimere il meglio di sé anche dopo aver passato una decade in cantina. Fra i tanti vini rossi trentini, il Teroldego Rotaliano DOC è il più rinomato, tanto da essere definito “vino principe del Trentino”.
Ci piacerebbe dirvi che sorseggiandolo vi darà la stessa forza e lo stesso coraggio dell’impavido cavaliere Firmian che sconfigge il drago, ma…. sorseggiandolo sicuramente vi darà calore e piacere.
È il momento di sognare, ma il Fiano dei due Sognatori è già una certezza.
E’ a Montefalcione, più precisamente a Contrada Carrani, in un contesto collinare dal suolo calcareo ed argilloso con contaminazioni vulcaniche legate alle eruzioni del Vesuvio.
Le ideali condizioni climatiche sono quelle ideali si combinano con 3 ingredienti fondamentali: delle vigne di proprietà, la passione per il vino ed il sogno di poter realizzare qualcosa di importante. È così che Marianna Mazzariello ed Adriano Tartaglia, rispettivamente marito e moglie, hanno deciso di scommettere sulla loro terra natia con un progetto molto ambizioso, e che guarda dritto al futuro: è così che è nata Tenuta Madre!
La forma esagonale del logo dell’azienda richiama la pianta del loro vigneto, ormai trentennale, in parte produttivo ed in parte in riqualificazione.
Si è iniziato così a lavorare sulla porzione di 1,20 ha coltivata a Fiano e su quella di 0,50 ha di Aglianico (un Taurasi che dovrebbe aver luce nei prossimi due anni), ma già sono in corso dei lavori per portare il vigneto di Fiano ad 1,72 ha, e di aggiungere un altro mezzo ettaro a quello di Aglianico, con l’obbiettivo di produrre 3 Cru: 2 di Fiano ed 1 Taurasi. A questo si aggiunge il talento di un Enologo ed Agronomo campano che ha saputo raccogliere questa nuova sfida con la professionalità che lo contraddistingue, Arturo Erbaggio.
Messi assieme tutti i pezzi del puzzle, con la vendemmia 2019 è nato il Fiano di Avellino I Sognatori, il cui nome fa chiaro riferimento a questa nuova avventura extra-professionale di Marianna ed Adriano.
Si tratta di un Fiano in purezza vinificato per l’80% in acciaio ed il 20% in barrique, dove il vino è rimasto a maturare per 7 mesi prima che le 3933 bottiglie prodotte venissero imbottigliate il 12 Giugno scorso. Il tutto si compie attraverso un accurato lavoro in vigna che culmina nella vendemmia, rigorosamente manuale, seguita da una pressatura soffice; la fermentazione avviene a basse temperature per l’80% in inox e 20% in barrique di rovere e il vino continua poi ad affinare per circa 7 mesi con bâtonnage periodici, che gli conferiranno struttura, corpo e longevità.
Al naso si presenta con grande impatto ed eleganza, profuma di mela golden, di fiori di tiglio, di pompelmo e di erbette di montagna, tra cui emergono dei lievi tocchi di miele di acacia e nocciola ancora fresca. La perfetta dosatura del legno risulta appena percettibile aggiungendo dei sottili profumi tostati. In bocca ha volume, pienezza, ma è fresco e dinamico, con una sottile salinità e un accenno di pepe bianco; chiude con una lunga persistenza. Lussureggiante, profondo, dinamico, pulito, di grandissima energia, avvolgente e freschissimo, la piccola massa che è passata in barrique apporta una timida carezza al palato, immediatamente scalzata dalla grande freschezza agrumata e dalla sapidità, che rendono la beva molto interessante. Infine la sensazione erbacea ritorna predominante, alternandosi ai toni fruttati in un lungo intreccio aromatico, che ci accompagna ben oltre l’assaggio.
Si abbina a crostacei e grigliate di pesce, fritture a base di pesce. Da urlo con una zuppa di vongole.
Un abbinamento consigliato e provato personalmente è con dei buoni gamberoni rossi su una vellutata di ceci. Tenuta Madre I Sognatori Fiano Di Avellino DOCG 2019Più caro o meno caro…. questo è il problema!
Vi è mai capitato da “profani” e non da cultori del vino di trovarvi davanti ad uno scaffale per acquistare un bottiglia e non sapete quale scegliere ? Il dilemma sorge soprattutto se siete invitati a casa di amici o dovete fare un regalo e non volete fare una “figuraccia”…… l’occhio cade sempre su quella più costosa e questo perchè, secondo voi , il prezzo è sinonimo di qualità !
Ebbene, non è sempre così!A confermarlo è un nuovo studio pubblicato su Science Direct .
La ricerca, che è intitolata “Le informazioni sul prezzo influenzano l’esperienza soggettiva sul vino”, si basa su di un esperimento realizzato dall’Università di Basilea al quale hanno partecipato 140 degustatori. Gli psicologi hanno dato volontariamente informazioni alterate su alcuni vini assaggiati alla cieca che avevano un prezzo compreso tra 10 e 70 €. Il risultato ha dato degli esiti a dir poco bizzarri! In parole povere, i partecipanti hanno preferito, in media, vini economici, spacciati per costosi, a vini realmente costosi. Il vino più economico di tutti veniva descritto come più piacevole quando veniva dichiarato un prezzo di quattro volte superiore a quello reale , si legge nello studio , “…..nessun effetto particolare, invece, è stato riscontrato quando abbiamo presentato un vino costoso e abbiamo detto che costava un quarto del suo prezzo reale…”. Non è chiaro quale sia il meccanismo alla base del default cognitivo, ma precedenti ricerche hanno evidenziato la possibilità che, di fronte ad un vino “costoso”, si attivi nel nostro cervello un sistema di “reward and motivation” (ricompensa e motivazione) che altera la nostra percezione in modo tale da far combaciare l’esperienza estetica con le aspettative. L’ipotesi è che a questo default si possa ovviare parzialmente o del tutto con l’allenamento, ma non è possibile dirlo con certezza, perché la maggior parte degli studi condotti in questo ambito hanno coinvolto esclusivamente persone non esperte. Certo è, in ogni caso, che esperimenti di questo genere sconfessano in larga parte le teorie sull’oggettività del gusto, perché mettono in luce il potere che i condizionamenti esterni possono avere sulla percezione. ‘ In vino veritas’ dicevano gli antichi , ma l’esperienza soggettiva sembra strettamente legata alle informazioni che vengono date.Tornado a noi….. quando comprate una bottiglia di vino non badate tanto al prezzo ma fate altre valutazioni ……da dove viene il prodotto, la cantina , l’ uvaggio ….
Vigneti galleggianti… oltre i limiti tradizionalmente concepibili
courtesìa de
DANIELA DAVILAHai mai sentito parlare di “vigneti galleggianti“?
Se non ne avete mai sentito parlare, oggi vi parlerò di uno dei vigneti più esotici al mondo.Parliamo dei vigneti galleggianti della Cantina Siam Winery
Siam Winery è stata fondata nel 1982 da Chalerm Yoovidhya, uno degli uomini più ricchi della Thailandia, creatore della famosa bevanda energetica Red Bull. (Síam è il nome con cui la Thailandia era precedentemente conosciuta). Questo sito si trova nel delta del Chao Phraya, 60 km a sud-ovest di Bangkok e i suoi vigneti sono piantati tra i fiumi Tha Chin e Mae Klong. In questa zona esistono dei veri e propri vigneti galleggianti “esotici”, dove le uve raccolte vengono trasportate in piccole barche attraverso canali tra i filari di vigneti, simile proprio alle immagini che i gondolieri ci danno attraverso i canali di Venezia. A rendere la coltivazione e la vendemmia più “spumeggiante” (per restare in tema) conigli, cobra reale, vipera a catena, green mamba e scolopendre (la scolopendra gigantea è sita proprio in questa regione) scimmie, lucertole e galline selvatiche fanno da contorno ai vigneti.
La Thailandia è forse meglio conosciuta per la sua birra, i marchi Chang e Singha sono conosciuti in tutto il mondo, tuttavia, l’industria vinicola sta iniziando a guadagnare terreno in questo paese. Situata all’interno dei tropici, questa nazione spinge la vinificazione oltre i confini ambientali tradizionalmente concepiti. Le caratteristiche climatiche sembrerebbero scoraggiare la produzione: fa troppo caldo, troppo umido, consistenti precipitazioni annuali fanno marcire le radici, per non parlare delle malattie causate dai funghi che prosperano in questo luogo, così come la mancanza di variazioni stagionali e le temperature diurne sono sfide per la produzione di vino di qualità. Questo paese non ha mai avuto una tradizione del vino, del resto la Thailandia è entrata nel mondo del vino molto di recente: il primo raccolto commerciale è stato solo nel 1995. Ma proprio la caratteristica del clima della zona permette ai viticoltori due raccolti all’anno, una in inverno (da dicembre a marzo) e una in estate (da giugno a settembre). Questa cantina produce varietà tradizionali locali come la Malaga Bianca e il Pok Dum Rosso,così come Colombard e Chenin Blanc, Sangiovese, Rondo, Shiraz, Muscat, Dornfelder, Merlot, Cabernet Sauvignon e Sauvignon Blanc, che prosperano nelle diverse regioni vinicole del paese. Le aree viticole della Thailandia sono concentrate nel nord-est del paese. Sono valli circondate da montagne dove i suoli sono poveri di materia organica, ma argillosi, calcare e granitici. L’area del delta del Chao Phraya, dove si trova la cantina proprietaria di questi vigneti, è la regione vinicola più meridionale del paese, ad un’altezza di 5 metri sul livello del mare e temperature diurne tra i 18 e i 22 gradi.
Per chi fosse interessato riporto il sito ufficiale della cantina.
https://www.siamwinery.com/en
Ringrazio Daniela G. Dávila, autrice dell’articolo.Vino in lattina, pronti al nuovo modo di bere vino?
Il vino in lattina è un prodotto che per molti wine lovers italiani per ora è ancora difficile da accettare ma che sta prendendo sempre più piede sul mercato mondiale. In un mercato come quello del vino, che a livello globale, più che di grandi rivoluzioni vive di piccoli aggiustamenti o meglio arrangiamenti, la vera novità degli ultimi anni è il vino in lattina. Una nicchia, per ora, che è ancora ben lontana dalla massa critica di qualsiasi altro formato, dalla bottiglia al bag-in-box, ma ha i suoi punti a favore: per il consumatore, è semplice e leggera da trasportare, e si adatta alla perfezione alle occasioni di consumo fuori casa. Non è un caso, ma semmai una conseguenza, che i più affascinati dal vino in lattina siano i più giovani (25-44 anni), ossia il target di chi passa più tempo tra locali e bar. L’interesse tra i bevitori abituali di vino nel resto del mondo è comunque cresciuto in maniera sensibile; se nel 2017 solo il 21% dei britannici ed il 33% degli americani prendeva in considerazione l’idea di comprare vino in lattina, la percentuale nel 2020 sale rispettivamente al 32% e al 42%, segno che, piano piano, il vino in lattina non è più un tabù, almeno tra i più giovani. Non è da sottovalutare nemmeno per i negozianti i quali hanno la possibilità di stoccare volumi importanti in minore spazio, usando un materiale riciclabile e leggero, in un packaging decisamente più moderno e spesso più attrattivo della classica bottiglia. Insomma il vino in lattina ha tutte le carte per acquisire la sua fetta di mercato, spetta ora ai produttori che strategia di vendita sviluppare: il vino in lattina non è lo stesso vino semplicemente per il fatto che è in una lattina: la stessa bibita americana più famosa al mondo bevuta in lattina e in vetro ha un diverso sapore.Pertanto considerati i fattori che possono influire sulla qualità del vino in lattina, i produttori dovrebbero valutare quali tipi di vino provare e poi proporli in questo formato. Un altro aspetto da considerare dal punto di vista del consumatore è che in genere quest’ultimo consuma bevande frizzanti in lattina, servite fredde, e questo si traduce in una maggiore apertura per i vini rosati e spumantizzati in lattina. Ma Bisogna seguire l’onda, perché i consumatori sono sempre più aperti alla possibilità di accettare un prodotto in lattina, ma sempre di un certo livello. I marchi del vino non devono avere paura di vedere compromessa la propria immagine: con la pandemia la fiducia nei brand, almeno in quelli più popolari ed amati, ha raggiunto livelli altissimi, per cui se un marchio del vino deciderà di buttarsi sul mercato del vino in lattina difficilmente subirà un impatto negativo, al contrario. Attenzione anche al canale distributivo, perché il vino in lattina è legato ad un consumo e ad un acquisto estemporaneo: ad esempio al banco refrigerato di un supermercato come anche in un distributore self-service avendo così con ogni probabilità maggiore successo di vendita che in un’enoteca. Ultimo ma non meno importante il suo grado alcolico: il vino in lattina è un’ottima strada verso la tendenza del basso contenuto alcolico, specie se lo si immagina miscelato con altri prodotti, scendendo facilmente a 5 gradi, come la stragrande maggioranza dei “Ready-To-Drink”.
E voi… siete pronti a bere vino in lattina?La cantina più antica del mondo ha 6100 anni e si trova in una grotta in Armenia
Il vino fa parte della cultura e della tradizione della vita umana da tempo immemore. Nell’antica Grecia il vino era lodato da poeti, storici e artisti, ed era spesso citato nelle opere di Esopo e Omero.: Dioniso, il dio greco del vino, rappresentava non solo il potere inebriante del vino, ma anche le sue influenze sociali e benefiche.
Ma il vino è molto più antico della storia fin’ora registrata e potrebbe risalire a oltre 20 milioni di anni fa, poiché i lieviti in fermentazione si sono evoluti insieme alle piante da frutta. La gente iniziò a coltivare uva probabilmente poco dopo aver iniziato a coltivare grano, intorno all’8000 aC; nei tempi antichi il vino era considerato un dono magico e spontaneo della natura.
La cantina più antica del mondo è stata scoperta in una grotta sulle montagne dell’Armenia: prima che questa cantina fosse scoperta, la più antica cantina conosciuta era in Israele datata 1650 aC.. Un team internazionale di ricercatori ha scoperto una ciotola per bere, una pressa per uva, una tazza e vasi di fermentazione risalenti a circa 6.100 anni fa nella grotta nella zona chiamata Areni-1 in Armenia; sicuramente sono state trovate prove più antiche delle sue origini ma questo è il primo esempio di produzione completa di vino venuto alla luce. Il complesso rupestre Areni-1 si trova nel villaggio di Areni,noto già per la sua produzione vinicola, nella provincia di Vayots Dzor nella Repubblica di Armenia. La pressa e l’ampia vasca poco profonda ritrovate nella grotta sono simili alle attrezzature utilizzate dalle persone in tutta la regione fino al XIX secolo: i botanici esaminandole hanno dichiarato che era la tipica specie di Vitis vinifera, la stessa utilizzata per produrre la stragrande maggioranza del vino oggi. Gregory Areshian, co-direttore dello scavo e assistente direttore del Cotsen Institute of Archaeology dell’Università della California di Los Angeles, afferma che il vino sarebbe paragonabile a un moderno vino rosso non filtrato e potrebbe aver avuto un sapore simile a un merlot, con un colore rubino scuro. Riguardo i metodi di vinificazione e affinamento nonchè il suo consumo non sono ancora chiari, molto probabilmente le persone che producevano il vino nella cantina della grotta lo usavano per scopi cerimoniali, probabilmente per cerimonie funebri, dal momento che si è successivamente scoperto che la grotta era un tempo un importante sito funerario.Questa scoperta dimostra che le persone svilupparono l’agricoltura e abilità vinicole già nel 4.000 a.C., e come dichiara lo stesso Areshian, ”Produrre questo vino dimostrava un’alta tecnologia dell’epoca richiedendo una conoscenza dettagliata dei cicli di irrigazione, potatura delle viti, nonchè la capacità di affrontare i parassiti e lo stesso processo di fermentazione, più complesso della birra”.
Luigi Moio è il nuovo presidente dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin (Oiv)
I successi internazionali per l’Italia, dal calcio al tennis si rispecchiano anche nel vino: è l’italiano Luigi Moio, professore ordinario di enologia nel Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, produttore con la cantina Quintodecimo, in Irpinia, e già vicepresidente dell’Oiv, il nuovo presidente dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin. L’elezione è avvenuta pochi minuti fa, nell’assemblea de “l’Onu del vino”, andata in scena in presenza ed in forma ibrida a Parigi. Moio è stato eletto superando il competitor australiano, Tony Battaglene, che ha ritirato la propria candidatura dopo una prima votazione che vedeva in netto vantaggio lo stesso Moio, sotto di pochissimi punti al quorum richiesto dal regolamento Oiv. Un riconoscimento importante per l’Italia del vino e per il professor Luigi Moio, considerato una delle massime autorità nel mondo della ricerca e della scienza applicata al vino, e già, tra le altre cose, Accademico dei Georgofili e dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, autore di numerose pubblicazioni. Professore ordinario di enologia presso il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. dopo la laurea in Scienze Agrarie e un dottorato di ricerca in Scienze e Tecnologie Alimentari, si è specializzato al Laboratoire de Recherches sur les Arômes dell’Institut National de La Recherches Agronomique di Dijon, in Borgogna, dove ha lavorato per 4 anni. Nominato nel 1998 esperto scientifico per il Ministero delle Politiche Agricole per la commissione Enologia presso l’OIV (Organisation Internationale de la Vigne et du Vin) con sede a Parigi, nel 2015 ne è stato eletto Presidente. Accademico dei Georgofili e dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, è presidente del Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia e del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Enologiche dell’Università degli Studi di Napoli oltre ad essere responsabile della Sezione di Scienza della Vigna e del Vino e membro del Consiglio Scientifico della Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie e Agroalimentari della medesima Università.
Da più di 25 anni si occupa degli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici dell’aroma del vino, prestando particolare attenzione agli aspetti tecnologici di base rivolti ad esaltare e preservare l’originalità varietale del vino.Curiosità sulla nascita del vino Rosè
Non sappiamo esattamente quando questo vino sia nato, poichè si risale nella sua versione ferma almeno al periodo greco-romano, dove veniva fatto con tecniche utilizzate ancora oggi o anche con la diluizione del vino rosso con l’acqua. Secondo una leggenda, il vino rosato nasce casualmente in un piccolo villaggio del veronese per opera di un prete piuttosto furbo. Il prete, infatti, disponeva di un orto dove poter coltivare la vite e produrre il vino necessario per la celebrazione della messa. In realtà, il curato, trascurando completamente il proprio orto, si affidava esclusivamente alla generosità dei fedeli, i quali erano soliti donare notevoli quantità di vino una volta ultimata la vendemmia, oltre a frutta e verdura; finché, un giorno … i compaesani, stanchi della sua pigrizia, decisero di donare quantitativi inferiori di vino e cibo. Per recuperare il vino da utilizzare nel corso della messa, il prete si intrufolò nella cantina del villaggio, perforò una delle botti e raccolse, in un recipiente, il liquido. Le vinacce erano rimaste a contatto con il mosto solo per poche ore e il vino, non avendo ancora iniziato la fermentazione, presentava un colore rosato. L’inganno venne scoperto, ma l’estrazione del vino in una fase di non completa maturazione stimolò la creatività dei viticoltori del villaggio che iniziarono a produrre il vino rosato. Secondo gli studiosi, invece, il rosato nasce in Francia, dove ancora oggi gode di una considerazione tale da rappresentare il vino di Natale per eccellenza.
Ad oggi il rosato di suò produrre con differenti tecniche quali, assemblaggio, macerazione pre-fermentativa a freddo, macerazione del mosto sulle bucce, salasso o pressatura semplice: di gran lunga quest’ultima è la più usata.
Il rosè d’assemblaggio si ottiene dalla spumantizzazione di uve a bacca bianca e l’aggiunta di vino rosso prima della seconda fermentazione, solitamente Pinot Nero; inoltre non si ottiene solo con il mix di uve a bacca bianca e nera, ma anche di vino ottenuto da annate differenti, per mantenere l’equilibrio e lo stesso stile negli anni. Il colore del rosato in un vino spumante dipende qua quanto sono state spremute le bacche e da quanto il mosto è stato in contatto con le sue bucce, dandogli il suo colore caratteristico.
Un rosato caratteristico da bere in estate, fresco e anche dissetante è il Negramaro Rosato di Tormaresca-Cantine Antinori: vino estremamente piacevole, dai sentori floreali di rosa e gelsomino, elegante e perfettamente bilanciato.
Ottimo da aperitivo, si abbina a pizze e focacce, ad insalate miste e a piatti freddi a base di verdure.
Bordeaux…Vicino all’acqua
E’ questo il significato della parola Bordeaux e l’influenza geografica dell’oceano e dei due fiumi navigabili, Garonne e Gironda, sono evidenti sia nelle caratteristiche del vino, che nel successo dei suoi vini. È la più vasta ed estesa regione vitivinicola francese e produce alcuni dei migliori vini rossi francesi, grandi vini dolci e complessi vini bianchi. Bordeaux è spesso messa a paragone con l’altra importante regione francese, la Borgogna. I due stili di vino hanno interpretazioni molto distanti fra di loro. I vini di Borgogna sono l’esaltazione della natura, i grandi vini di Bordeaux sono il trionfo della civiltà.
I vini di Bordeaux sono fondati sul concetto di Chateau. Ogni Chateau crea il proprio vino unendo vitigni differenti da terroir differenti con lo scopo di creare uno stile interpretativo. Agli Chateau è proibito acquistare uve da altre aziende quindi devono coltivare le proprie uve. In Borgogna invece il fulcro è il vigneto. L’enfasi è sulla provenienza delle uve, non su chi le produce. Di conseguenza è possibile per qualsiasi produttore acquistare uve non coltivate da loro. Un vino stupendo che merita essere degustato è prodotto da DOMAINE FRANCOIS GAY ET FILS
APPELLAZIONI DEI VINI DI BORDEAUX
Bordeaux è la più estesa regione vitivinicola francese e produce vini di stile profondamente diverso fra loro. Per questo motivo la regione è divisa in zone e appellazioni differenti. Le tre zone di Bordeaux sono la sponda sinistra ( Rive Gauche ), la sponda destra ( Rive Droite ) e la zona fra i due fiumi Dordogne e Garonne conosciuta come Entre-Duex-Mers (fra i due mari).
La Rive Gauche del BORDEAUX
Sono i vini coltivati a ovest della sponda dei fiumi. Qui i vini rossi hanno una percentuale maggiore di Cabernet Sauvignon rispetto ai vini della sponda destra. Come conseguenza sono più tannici e con un lungo potenziale d’invecchiamento. Inoltre rientrano in suddetta zona anche le appellazioni dei grandi vini dolci di Sauternes e Barsac e la maggior parte delle appellazioni dei vini bianchi secchi. Le due macrozone della sponda sinistra sono: la penisola di Medoc e Graves.
Nella penisola di Medoc troviamo alcuni dei più famosi Chateau di Bordeaux, come Mouton-Rothschild, Lafite-Rothschild, Margaux, Latour, Palmer ecc… Si sviluppa a nord della città di Bordeaux lungo le sponde del fiume Gironde. La penisola di Medoc è ulteriormente divisa in due zone Medoc e Haut-Medoc. Il Medoc è la zona a nord, vicina all’oceano. Qui l’influenza dell’oceano e le basse temperature non facilitano la maturazione delle uve. Per questo motivo produce vini piuttosto rustici, leggeri e tannici. L’Haut-Medoc è invece la zona da cui provengono i migliori vini di Bordeaux.
La zona del Graves è divisa in due AOC per i vini rossi e bianchi: Pessac-Léognan e Graves. Pessac-Léognan si sviluppa subito a Sud della città di Bordeaux ed è qui che si trovano gli Chateau più importanti come Haut-Brion e La Mission Haut-Brion. Nel sud del Graves troviamo poi Sauternes e Barsac, dove si producono i grandi vini dolci. Negli ultimi anni, complice anche il calo dei consumi dei vini da dessert, si è iniziato a produrre ottimi vini bianchi secchi anche a Sauternes e Barsac ma per disciplinare devono essere etichettati come Bordeaux Blanc.
La Rive Droite del BORDEAUX
I vini della sponda destra del fiume sono solitamente dominati dal Merlot. Qui si trovano le appellazioni appellazioni di Pomerol e Saint-Emilion, patria di importantissimi Chateau come Petrus, Chateau Angelus, Chateau Cheval Blanc, Chateau Ausone, Le Pin e Chateau Pavie. Sempre nel right bank si trovano inoltre alcune appellazioni minori ma che producono vini dall’eccellente rapporto qualità-prezzo come i comuni satellite di Saint-Emilion, Lalande-de-Pomerol, Castillon Cotes de Bordeaux, Cotes de Bourg, Fronsac e Canon-Fronsac, Blaye e Blaye Cotes de Bordeaux.
UVE COLTIVATE A BORDEAUX
A Bordeaux sono nati alcuni dei vitigni più celebrati al mondo. Storicamente la produzione vitivinicola della regione era equamente divisa fra vini bianchi e vini rossi ma nel 2019 secondo un censimento del CVIB (Conseil Interprofessionnel du Vin de Bordeaux) la stragrande maggioranza dei vigneti (88%) è pianta ad uve rosse e solo il 12% con vitigni bianchi. La produzione della regione è quindi divisa in 84% vini rossi, 9% vini bianchi, 4% vini rosati, 2% vini dolci e 1% di Cremant. Fra i vini rossi la parte del leone la fa il Merlot (66%) seguito dal Cabernet Sauvignon (22%) e Cabernet Francesi (9%). Il restante 3% è composto da uve minori come Malbec, Carmenere e Petit Verdot.
Sebbene questa sia lo suddivisione generale vi sono delle importanti differenze. Nel Medoc la percentuale di Cabernet Sauvignon è spesso superiore alla media di Bordeaux, in particolar modo a Pauillac. A Pomerol e Saint-Emilion il Merlot è il vitigno principe, spesso unito al Cabernet Franc. Carmenere e Petit Verdot sebbene trascurabili nell’insieme, giocano un ruolo fondamentale nel carattere di alcuni vini. Chateau Palmer a Margaux e Chateau Meyney a St-Estephe hanno percentuali molto significative di Petit Verdot (6% Palmer, 18% Meyney) mentre il Carmenere ha un ruolo importante nel carattere dei vini di Brane-Cantenac.
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